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Il momento migliore per eradicare la polio è adesso

a cura di Illustrazioni di

“Nel nostro progetto di eradicazione della polio, c'è qualcosa che cattura l'immaginazione”,  spiega Aidan O’Leary. Molti parlano di fare passi avanti verso presunti traguardi, che però sono quasi sempre irraggiungibili. L'eradicazione è un gioco a somma zero; qualsiasi risultato diverso dallo zero è da considerarsi un fallimento. Ci si avvicina sempre di più, ma alla fine della fiera l'unico numero che conta davvero è lo zero”.

Anche se O'Leary, responsabile dell'Organizzazione mondiale della sanità per l'eradicazione della polio, ci parla da casa sua, a Galway, nello scenario verdeggiante dell'Irlanda occidentale, la sua mente è in Afghanistan, paese devastato dalla guerra, e nelle pianure aride e polverose del Pakistan, gli ultimi due Paesi al mondo dove il poliovirus selvaggio non è ancora stato debellato.

Anche durante una pandemia, anche quando si trova di fronte a realtà terribili, O'Leary non smette di essere ottimista e crede sempre nella possibilità di un mondo senza polio. "Soprattutto in tempi di COVID, l'idea di annientare una malattia infettiva altamente contagiosa fa parecchia presa sulle persone", dichiara. "Quando è scoppiata l'emergenza coronavirus, la gente ha cominciato finalmente a capire perché ora più che mai è tempo di portare a termine il nostro progetto di eradicazione della polio".

Ciononostante, l'ottimismo di O'Leary è accompagnato da un forte senso di urgenza e pragmatismo. "Non c'è spazio per l'autocompiacimento", afferma. "Ciò che conta davvero è raddoppiare il numero di bambini vaccinati che mancano ancora all'appello e che sono la massima priorità del nostro programma".

O'Leary, che ha assunto il mandato di responsabile dell'Organizzazione mondiale della sanità per l'eradicazione della polio a gennaio, conosceva bene il quadro della situazione quando è entrato in carica. Prima di allora, ha ricoperto gli incarichi di responsabile UNICEF per la campagna antipolio in Pakistan e direttore dell'Ufficio delle Nazioni unite per gli affari umanitari in Afghanistan, Iraq, Siria e Yemen, organizzando la risposta dell'ONU durante le emergenze.

O'Leary si dice consapevole della differenza che può fare il Rotarynon solo all'interno delle comunità, ma anche nella lotta globale contro la polio. Secondo una tradizione locale, quando si arriva al termine della passeggiata di 3 chilometri sulla Salthill Promenade lungo la baia di Galway, bisogna assolutamente dare un calcio alla parete di pietra calcarea (la ragione di questa strana usanza si è persa nella notte dei tempi). Nel 2012, spiega O'Leary, il Rotary Club di Galway-Salthill ha installato sulla parete una scatola con lo slogan "Small Change, Big Impact" (un piccolo cambiamento, un grande impatto) e invita i camminatori a lasciare una piccola donazione che verrà devoluta a enti di beneficenza e istituzioni locali.

A luglio, alcune settimane prima delle drammatiche vicende avvenute in Afghanistan, O'Leary ha incontrato su Zoom Diana Schoberg, redattrice senior della rivista Rotary, e Dave King, editore della rivista Rotary per il Rotary International in Gran Bretagna e Irlanda, per discutere della nuova strategia dell'Iniziativa globale per l'eradicazione della polio (GPEI) e del nuovo vaccino antipolio, e definirne una volta per tutte il ruolo nell'ambito del programma.

Quali sono le ultime novità sul poliovirus selvaggio?

I numeri lasciano ben sperare. Negli ultimi due anni abbiamo dovuto superare tantissimi ostacoli. Tra il 2018 e il 2019 è stato registrato un aumento dei casi di cinque volte, ben 176; nel 2020, se ne contavano 140. Quest'anno, però, siamo passati a due soli casi [dati aggiornati al 27 luglio], uno in Afghanistan e uno in Pakistan [entrambi i casi risalgono a gennaio].

Al momento, l'aspetto più incoraggiante è che il programma vanta una fitta rete di impianti in cui vengono eseguiti test ambientali sulle acque di scarico; parliamo di quasi 100 impianti in Afghanistan e Pakistan che coprono tutti i principali centri urbani. Nel 2020, quasi il 60% dei campioni analizzati ogni mese è risultato positivo al poliovirus. Quest'anno, ad oggi, la percentuale si aggirerà intorno al 15%. In Afghanistan non rileviamo casi di poliovirus selvaggio dal 23 febbraio, mentre in Pakistan ne abbiamo registrati solo cinque dal 12 aprile.

Cosa glielo fa pensare? L'anno scorso siete stati costretti a sospendere le campagne di immunizzazione antipolio e quindi, in teoria, i numeri dovrebbero essere andati nella direzione opposta. Ritiene che ciò sia dovuto al fatto che la pandemia ha bloccato la vita sociale?

Anche se nel 2020 le circostanze erano certamente avverse sia per la sorveglianza che per l'andamento della campagna, quest'anno stiamo traendo vantaggio da due aspetti. Il primo è il calo della mobilità, sia all'interno dei singoli Paesi che a livello transfrontaliero. Prendiamo ad esempio l'India, dove nella prima metà del 2021 i casi di COVID sono letteralmente esplosi; ci ricordiamo bene le immagini scioccanti delle pire funerarie. Ecco, credo che qui il calo della mobilità abbia giocato un ruolo importante. Inoltre, sono cambiate le norme sociali; pensiamo a cose banali come il distanziamento sociale e il lavaggio delle mani. Probabilmente anche questi piccoli accorgimenti hanno fatto la loro parte. Tuttavia, si tratta di cambiamenti a breve termine.

Con quello che sta succedendo in Afghanistan, temo che l'effetto positivo del calo della mobilità non durerà ancora a lungo. Dobbiamo prepararci a quando sarà di nuovo possibile spostarsi da un Paese all'altro. Dobbiamo cogliere l'opportunità che abbiamo.

Ci stiamo avvicinando alla cosiddetta stagione della polio, quindi aspettiamo e vediamo come si evolve la situazione. Non dobbiamo assolutamente abbassare la guardia.

«La relazione più importante all'interno del programma è quella tra l'addetto alle vaccinazioni in prima linea e il caregiver che apre la porta».

Per via del COVID, oggi tutti parlano di vaccini. In che modo questo ha contribuito all'accettazione del vaccino antipolio?

Dal mio punto di vista, i principali problemi in Afghanistan e Pakistan hanno a che fare con la fiducia e la sicurezza delle famiglie e delle comunità. Una volta risolti questi problemi, si arriva già all'80-90%. La difficoltà sta nel raggiungere il restante 10-20%.

La questione, però, è ben più complessa; dobbiamo infatti fare i conti con l'emarginazione delle comunità, ma non solo a livello domestico o comunitario. È necessario un impegno su tutti i fronti per essere sicuri di comprendere a fondo i bisogni reali delle comunità e collegare i vari elementi in modo più attendibile.

La relazione più importante all'interno del programma è quella tra l'addetto alle vaccinazioni in prima linea e il caregiver che apre la porta, solitamente la madre; per avere maggiori probabilità di successo, è bene che il vaccinatore sia una donna del posto adeguatamente formata e motivata. Se si riesce a instaurare un rapporto di fiducia e sicurezza, si ha il via libera per tutti i bambini del nucleo familiare.

Da quando le campagne di vaccinazione porta a porta sono state sospese nel 2018 nei territori afghani controllati dai talebani, mancano all'appello oltre 3 milioni di bambini. Crede che sarà possibile eradicare la polio se le condizioni di sicurezza nel Paese rimarranno così imprevedibili?

Il dialogo con le parti va avanti. La nostra priorità è proteggere i bambini, e questo richiede il coinvolgimento di tutti gli stakeholder. Abbiamo stipulato un accordo con i talebani volto alla conduzione di campagne vaccinali all'interno delle moschee; speriamo di poter cominciare nei prossimi mesi. In alcuni casi, immunizzeremo dei bambini per la prima volta in tanti anni. Vorremmo cogliere quest'opportunità per riprendere le campagne di vaccinazione porta a porta.

Il nostro non è un approccio "tutto o niente". Puntiamo a vaccinare il 40-50% prima di iniziare a parlare del 100%. Mi sta chiedendo se le campagne di luglio e agosto saranno perfette? Certo che no, dato che verranno portate avanti nello scenario di un conflitto su larga scala destinato a crescere. Ecco perché dobbiamo fare in modo che funzionino.

Questo comporta dei rischi. A inizio anno, otto operatori in prima linea sono stati uccisi nell'Afghanistan orientale in una serie di omicidi mirati. Nelle aree oggetto di contestazione, le autorità de facto locali cambiano in continuazione e dobbiamo cercare di muoverci nel modo più cauto possibile.

Inoltre, siamo al lavoro per finanziare la copertura delle vaccinazioni essenziali [accesso universale a tutti i vaccini più importanti], in particolare nelle province della zona meridionale dell'Afghanistan. Sappiamo bene che le lacune immunitarie non riguardano solo la polio, ma anche tante altre malattie.

Un ulteriore punto che mi sta a cuore sottolineare è l'importanza del sistema di sorveglianza. Anche se non siamo riusciti a raggiungere tutti i bambini, il nostro sistema di sorveglianza ci permette di registrare tutti i casi di paralisi flaccida acuta. Grazie a questo sistema elementare, possiamo tenere la situazione sempre sotto controllo. Il nostro intento è procedere in modo graduale e sostenibile per riuscire a portare le nostre iniziative di immunizzazione in tutte queste aree.

Parliamo invece del Pakistan, dove l'81% dei casi si verifica tra gli abitanti di lingua pashto, che costituiscono il 15% della popolazione totale. Perché i casi si concentrano all'interno di questo gruppo e quali soluzioni prevede il programma?

Spesso la causa viene ricercata nell'accettazione del vaccino, ma penso che il problema sia molto più ampio. Persone di lingua pashto provenienti da ogni area dell'Afghanistan e del Pakistan si sono riversate in massa a Karachi, dando vita a una vera e propria migrazione economica. Gli insediamenti stanno letteralmente esplodendo: quelli formali, quelli informali e anche le vie di mezzo, tutti scarsamente serviti. Potrebbero sorgere problemi tra le amministrazioni statali e provinciali e queste comunità minoritarie. Il problema principale, però, riguarda l'accettazione, la fiducia e la sicurezza.

Il programma di eradicazione della polio è una delle poche iniziative che coinvolge queste comunità, ma i loro bisogni non si limitano al vaccino antipolio; includono acqua potabile e condizioni igieniche, nutrizione, servizi sanitari di base e istruzione. Quando cerchiamo di accedere a questi insediamenti informali, troviamo tutta una serie di problemi, di fronte ai quali la polio diventa essenzialmente un mezzo.

Questi problemi non rientrano necessariamente sotto il controllo del nostro programma, ma siamo consapevoli che per incentivare l'accettazione e guadagnarci la fiducia di queste comunità dobbiamo impegnarci molto di più di quanto fatto finora. La nostra idea è passare da iniziative frammentarie e ad hoc a un intervento molto più completo e sistemico.

In città come Karachi, in Pakistan, Aidan O'Leary spiega che "il vaccinatore in prima linea con maggiori probabilità di successo è una donna del posto adeguatamente formata e motivata". Khaula Jamil/Per gentile concessione del Rotary International

La nuova strategia parla di "bambini con zero dosi". Di cosa si tratta?

L'espressione "zero dosi" si riferisce ai bambini che non sono mai stati vaccinati. Vogliamo assicurarci che abbiano accesso non soltanto al vaccino antipolio orale, ma anche al maggior numero possibile di vaccinazioni essenziali. Il nostro obiettivo fisso e mirato di raggiungere i bambini ad alto rischio nei bacini principali, cioè le aree caratterizzate da continua trasmissione del poliovirus selvaggio, non è l'unico. C'è anche un obiettivo variabile che non dobbiamo perdere di vista. Quando si parla dei bambini appena nati, la nostra diventa una corsa contro il tempo. In Pakistan, ogni anno si registrano tra i 7 e gli 8 milioni di nascite. Dobbiamo quindi fare in modo di vaccinarne il più possibile nei primi mesi di vita.

Indicativamente, mi sa fare una stima ottimistica del vostro obiettivo?

Ogni volta che portiamo avanti una campagna di immunizzazione nazionale in Pakistan, e si tratta di campagne porta a porta, puntiamo a vaccinare più di 40 milioni di bambini sotto i 5 anni. In Afghanistan, invece, siamo tra i 9 e i 10 milioni. È rassicurante vedere tutto quello che fanno gli operatori in prima linea durante la pandemia.

I nemici contro cui combattere sono due, giusto? Il poliovirus selvaggio e il poliovirus circolante derivato da vaccino. Qual è la differenza?

Come suggerisce il nome, il poliovirus selvaggio è il ceppo originale. Nel corso dei secoli e dei millenni si è evoluto e continua a evolversi ancora oggi.

Il vaccino orale antipolio contiene un virus vivo attenuato che può circolare anche a lungo, in genere per anni, tra le popolazioni sottoimmunizzate o non immunizzate. Col tempo, può trasformarsi in una forma che causa la paralisi, ovvero il poliovirus circolante derivato da vaccino [cVDPV].

I virus hanno bisogno di lacune immunitarie e bambini vulnerabili per sopravvivere. Queste malattie trovano terreno fertile dove ci sono bambini con zero dosi. Una volta individuati questi luoghi, ci torniamo più e più volte. Ecco perché dobbiamo davvero raddoppiare i nostri sforzi e fare in modo che questi bambini siano la priorità assoluta delle nostre campagne.

La nuova strategia di eradicazione prevede il miglioramento della sorveglianza e l'introduzione dei vaccini antipolio nei programmi sanitari. Khaula Jamil/Per gentile concessione del Rotary International

Quanto è diffuso il cVDPV nel mondo?

Dal 2016 sono stati registrati 1.800 casi, che sono poi triplicati una prima volta tra il 2018 e il 2019 e una seconda volta tra il 2019 e il 2020. Nel 2020 si contavano in totale 1.103 casi. Nel 2021, finora, [dati aggiornati al 27 luglio] i casi di cVDPV sono stati 179. Con la ripresa delle campagne vaccinali, abbiamo fatto enormi passi avanti. Il numero di Paesi in cui sono stati registrati dei casi è sceso da 27 dello scorso anno a poco più di una dozzina.

I soggetti più colpiti sono come sempre i bambini con zero dosi, mentre per quelli completamente vaccinati il virus non rappresenta un problema. Questi casi sono altamente concentrati, soprattutto in Afghanistan e Pakistan, dove nel 2020 è stato registrato il 40% del totale. Se analizziamo la situazione in Afghanistan, il Paese che lo scorso anno contava il maggior numero di casi di cVDPV, vediamo che oltre il 90% di questi si concentravano nelle aree rese inaccessibili dai talebani, che hanno vietato le campagne antipolio porta a porta.

Quindi di nuovo, la sfida per noi è proteggere la popolazione grazie ai vaccini. Non riuscire a garantire un livello di immunità sufficiente comporta dei rischi. Nell'ambito del programma, stiamo cercando di risalire alla causa principale del problema, assicurandoci di offrire una copertura vaccinale completa a tutti i bambini con zero dosi.

Dovendo scegliere tra due casi di poliovirus selvaggio e oltre 100 casi di cVDPV, quale dei due scenari la preoccupa di più?

Noi del Rotary ci siamo dati due obiettivi: il primo è eradicare il poliovirus selvaggio e il secondo è rompere la catena di trasmissione del cVDPV. Il poliovirus selvaggio si è rivelato più difficile da debellare. Dobbiamo sconfiggerlo una volta per tutte. L'Afghanistan e il Pakistan sono gli unici due Paesi in cui circolano entrambe le varianti. Portando avanti regolarmente le campagne vaccinali, abbiamo visto che è possibile eradicare i cVDPV in modo piuttosto soddisfacente. Il poliovirus selvaggio rimane l'ostacolo più arduo.

Esiste un nuovo mezzo per contrastare i cVDPV. Come è stato sviluppato e a quali risultati può portare?

A novembre dello scorso anno l'OMS ha incluso per la prima volta un vaccino nell'Elenco per l'uso di emergenza (EUL), approvando il nuovo vaccino orale antipolio di tipo 2 [nOPV2]. Ci sono voluti quasi 10 anni per svilupparlo. Ha la stessa efficacia dei vaccini attualmente disponibili, ma è molto più stabile dal punto di vista genetico e quindi meno soggetto a ripresentarsi in una forma in grado di causare paralisi. Il Gruppo consultivo strategico di esperti di immunizzazione lo ha dichiarato il vaccino di elezione per i futuri focolai [di cVDPV]. I Paesi interessati a utilizzare il vaccino devono soddisfare i criteri per l'uso iniziale [in materia di sorveglianza e monitoraggio della sicurezza]. Da marzo sono state avviate numerose campagne che hanno visto la somministrazione di 50 milioni di dosi; da allora non abbiamo ricevuto segnalazioni avverse per la sorveglianza o la sicurezza che potrebbero destare preoccupazione. Al momento, stiamo verificando se è possibile passare da una fase di uso iniziale a una fase di utilizzo più ampio, che ridurrebbe alcuni dei requisiti più onerosi, in particolare quelli relativi al sistema di sorveglianza.

Quante possibilità ci sono che l'Afghanistan e il Pakistan diventino Paesi totalmente polio-free?

Sono piuttosto fiducioso.

Con la nostra nuova strategia, puntiamo a rompere la catena di trasmissione del poliovirus selvaggio e del virus circolante derivato da vaccino entro e non oltre il 2023 e a ottenere la certificazione di un mondo libero dal poliovirus selvaggio entro il 2026. Una cosa importante che ho notato è che parlare di 2023 o 2026 non motiva il personale sul campo. Ho lavorato 20 anni nella gestione. La gente perde interesse di fronte a questi piani a tre e cinque anni. Abbiamo bisogno di obiettivi più concreti, da realizzare trimestre dopo trimestre.

Questo trimestre [luglio-settembre] ci siamo impegnati a preparare il terreno per avviare le campagne in Afghanistan. Abbiamo fissato degli obiettivi, ad esempio, in relazione al passaggio dall'uso iniziale a un uso più ampio del vaccino nOPV2. Stiamo facendo grandi progressi sotto questo punto di vista.

Ecco perché non dobbiamo parlare di 2023 o 2026, ma piuttosto pensare a cosa fare questo mese, il prossimo e quello ancora dopo. Per riuscire nell'impresa, è fondamentale adottare un approccio di miglioramento continuo.

«Nel programma di eradicazione, non si tratta di raggiungere degli obiettivi. Si tratta di colmare le lacune, nell'accesso come nella sorveglianza».

A giugno, l'Iniziativa globale per l'eradicazione della polio ha pubblicato un documento intitolato "Mantenere una promessa: strategia di eradicazione della polio 2022-2026". Sarà davvero così?

Io credo che riusciremo a rispettare le scadenze e a raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati mantenendo le promesse fatte. Dobbiamo solo riconoscere con onestà le nostre lacune e cosa viene fatto per colmarle. Nel programma di eradicazione, non si tratta di raggiungere degli obiettivi. Si tratta di colmare le lacune, nell'accesso come nella sorveglianza. Si continua ad andare avanti, avanti e ancora avanti, e poi improvvisamente ci si rende conto di essere arrivati.

Vorrei parlarle di due situazioni che ho dovuto affrontare nella mia carriera. Ho iniziato a lavorare ai progetti di eradicazione della polio nel lontano gennaio 2015 [come responsabile UNICEF per la campagna antipolio in Pakistan]; all'epoca, il programma del Pakistan fu definito un disastro dal Consiglio per il monitoraggio indipendente. Nel 2014 furono registrati in tutto il mondo 359 casi di poliovirus selvaggio, di cui 306 nel solo Pakistan. Due anni e mezzo dopo, si contavano a malapena tre casi. Ce ne saranno stati otto in totale quell'anno. Abbiamo dovuto superare molte sfide. È importante dedicarsi implacabilmente alla ricerca di una strada giusta verso l'eradicazione. Ecco quindi che ho imparato la prima lezione.

Quando ho iniziato a gennaio, mi è stato chiesto perché mi stessi facendo carico di questo programma proprio in quel momento. Per quanto mi riguarda, non mi faccio scoraggiare e credo che nulla sia impossibile. La sfida è capire a che punto si è arrivati e, successivamente, capire quali azioni concrete è necessario intraprendere. L'anno scorso, la mia vittoria più grande è stata rimanere in gioco. A volte la gente non si rende conto di cosa voglia dire rialzarsi e portare avanti un programma del genere nel bel mezzo di una pandemia. Sono state prese decisioni molto coraggiose dai governi e dagli operatori in prima linea, così come da tante altre persone.

Nel 2019 era stata pubblicata la precedente strategia. Cosa non ha funzionato e perché, invece, quella nuova funzionerà?

L'epidemiologia si stava allontanando sempre di più dallo zero. Poi è scoppiata l'emergenza COVID, che ha cambiato totalmente le carte in tavola. Temevamo che il programma avesse ormai perso il suo carattere urgente. Inoltre, abbiamo capito che era indispensabile riesaminare le richieste della comunità su base più ampia.

Un'altra fetta di responsabilità è legata alla partecipazione diretta delle istituzioni. La GPEI aveva carattere d'urgenza, e questo carattere d'urgenza era necessario per farci notare dai governi. Uno degli aspetti che mi hanno colpito di più in Pakistan è stato il ruolo dell'infrastruttura della centrale di emergenza nella risposta alla pandemia. Ogni giorno, i vertici provinciali, i militari e il Ministero della Sanità si riunivano per fare il punto della situazione. Tutti i gruppi analizzavano i dati in tempo reale, prendevano decisioni e si assumevano grandi responsabilità per le misure di follow-up. Il messaggio che vogliamo trasmettere è che, sebbene l'entità dell'emergenza polio non sia pari a quella della pandemia di COVID, questo modus operandi va assolutamente preso d'esempio.

L'altro aspetto da rafforzare è la gestione delle prestazioni e dei rischi. Abbiamo parlato del 2023 e del 2026, ma quali sono le tappe intermedie? Nel rivedere le proprie prestazioni, è sempre meglio correggere il tiro sul momento. E noi dobbiamo farlo con un approccio più strutturato, utilizzando metriche chiave.

Quali saranno le priorità? Cosa la preoccupa di più?

Cogliere le opportunità che si presentano. Non perdere mai di vista i bambini che ancora mancano all'appello. Le iniziative sono tante, ma non sono tutte ugualmente efficaci. Che si tratti di campagne, centri di assistenza sanitaria o vaccinazioni di routine, la cosa importante è capire se ciò che facciamo ci permette di vaccinare un bambino in più tra quelli che ancora non abbiamo raggiunto. Stabilire se ogni singola iniziativa o attività che portiamo avanti ci avvicina sempre di più al nostro obiettivo.

La mia maggiore preoccupazione è proprio il rischio che corriamo se prendiamo alla leggera tutto questo. Possiamo raggiungere grosse cifre, ma stiamo effettivamente vaccinando i bambini giusti?

Qual è il suo messaggio ai soci del Rotary?

Faccio questo lavoro da sei mesi. Ho conosciuto Rotariani virtualmente e di persona in India, Africa, Pakistan e Afghanistan. Per quello che ho visto, l'impegno non è affatto diminuito. L'obiettivo è molto chiaro. Il messaggio è semplice: Un mondo senza polio è possibile. Abbiamo un'opportunità e adesso è il momento di mantenere la rotta.

Punti salienti del piano strategico

A giugno, l'Iniziativa globale per l'eradicazione della polio ha lanciato un nuovo piano strategico, intitolato "Mantenere una promessa: strategia di eradicazione della polio 2022-2026", con due obiettivi: rompere la catena di trasmissione del poliovirus selvaggio nei due Paesi endemici rimanenti (Afghanistan e Pakistan) e arginare i focolai di poliovirus circolante derivato da vaccino (cVDPV), che nasce quando il virus vivo contenuto nel vaccino antipolio orale muta in una variante più virulenta, diffondendosi tra le popolazioni non immunizzate e sottoimmunizzate. Ecco come ci riusciremo.

  1. Presa di posizione politica: collaborare con i governi per creare maggiore urgenza e senso di responsabilità e gestire i focolai in modo efficace e tempestivo. Instaurare rapporti personali per accrescere la fiducia a livello nazionale, provinciale e locale e sviluppare una migliore comprensione dei benefici del programma antipolio. Esplorare le possibili opzioni per aggirare il divieto di vaccinazione porta a porta in alcune zone dell'Afghanistan.

  2. Coinvolgimento delle comunità: creare partnership significative con le comunità ad alto rischio colpite in modo sproporzionato dalla polio, come le comunità di lingua pashto in Afghanistan e Pakistan. Istituire comitati dove i membri della comunità possano partecipare all'organizzazione delle campagne antipolio e riferire altri bisogni sanitari. Collaborare con persone influenti di lingua pashto, come le ostetriche e le associazioni femminili, per chiarire in che modo le vaccinazioni antipolio possono diventare un sostegno nella cura dei neonati in senso lato.

  3. Miglioramento delle operazioni: rafforzare le campagne reclutando e formando operatori donne in prima linea che appartengono alla comunità locale e parlano la lingua del posto. Garantire al personale in prima linea le forniture sanitarie e la sicurezza necessarie per svolgere al meglio il proprio lavoro e offrire opportunità di sviluppo professionale. Adottare tecniche innovative come la mappatura digitale e i pagamenti mobili a beneficio degli operatori. Distribuire il nuovo vaccino antipolio orale di tipo 2 (nOPV2) appena approvato per arginare i focolai.

  4. Introduzione delle misure antipolio nei programmi sanitari: somministrare tutte le vaccinazioni essenziali ai bambini con zero dosi in Afghanistan e Pakistan. Sostenere la distribuzione del vaccino anti COVID-19. Rendere il vaccino antipolio parte integrante di un pacchetto di servizi sanitari di base più ampio, sviluppato in collaborazione con le comunità. Assistere le strutture sanitarie nella somministrazione del vaccino antipolio orale ai neonati.

  5. Miglioramento della sorveglianza: avvalersi di tecniche innovative per accelerare la risposta alle epidemie e ottenere in tempi più rapidi i risultati dei test per il poliovirus effettuati sui bambini con paralisi. Integrare la sorveglianza della polio nei sistemi di sorveglianza di altre malattie a prevenzione vaccinale, come il morbillo e il COVID-19.

Leggi l'intero rapporto.

Questa storia è stata già pubblicata nel numero di ottobre 2021 della rivista Rotary.

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